Alla disinserzione dei carichi induttivi (relè, contattori, elettrovalvole, ecc.) si generano delle sovratensioni e dei disturbi di natura elettrica che possono provocare malfunzionamenti e, talvolta, causare danni alle apparecchiature elettroniche.

Alla disinserzione dei carichi induttivi (relè, contattori, elettrovalvole, ecc.) si generano delle sovratensioni e dei disturbi di natura elettrica che possono provocare malfunzionamenti e, talvolta, causare danni alle apparecchiature elettroniche.
Da rilievi fatti sui contattori si è visto che, con tensioni di alimentazione di 380 V, si possono generare dei picchi di tensione di alcune migliaia di volt, valore che dipende dalla rapidità con la quale i contatti si aprono e dall’energia induttiva che il circuito, che viene interrotto, ha immagazzinato.
L’origine delle sovratensioni è da attribuire all’induttanza L che, all’atto dell’apertura del contatto K, realizza un circuito oscillante con la capacità parassita Cp.
Il circuito costituito dagli elementi RL, L e Cp diventa, all’atto dell’apertura del contatto K, sede di oscillazioni libere ad alta frequenza che tendono rapidamente a smorzarsi a causa della presenza di RL.
Se si trascurano le perdite che intervengono in RL e se si ritiene, per semplicità, che l’apertura del contatto avvenga senza formazione di arco e senza rimbalzi, ai capi della capacità Cp si viene a creare una sovratensione.
Si ha, considerando l’energia, un’ampiezza della tensione UCP pari a u = -i · √L/Cp (cioè, fissati i valori della corrente i e dell’induttanza L); il valore della tensione d’induzione nell’utilizzatore è determinata soltanto dal valore di CP. Dall’equazione riportata si vede che, quando CP = 0, la tensione tende teoricamente all’infinito.
Occorre pertanto eliminare questa energia. In pratica, i rapporti sono più favorevoli in quanto, già durante l’apertura del contatto, si ha un’eliminazione d’energia attraverso RL, cui segue l’eventuale formazione di un arco elettrico.
È necessario, perciò, limitare il valore delle sovratensioni con particolari dispositivi antidisturbo applicati all’apparecchiatura, che non devono condizionare in alcun modo il funzionamento del contattore. La scelta del tipo di protezione dipende dal tipo di corrente impiegata.
I costruttori offrono per i propri contattori i seguenti dispositivi antidisturbo:
- gruppi RC;
- varistori (VDR);
- diodi.
Si utilizzano, in genere, gruppi RC e varistori in parallelo ai contatti del contattore con i circuiti funzionanti in DC oppure in AC; queste due soluzioni possono essere adottate anche nel caso che il “contatto” sia del tipo a semiconduttore.
Nel caso il circuito funzioni in DC, si preferisce in genere usare dei diodi collegati in modo opportuno, polarizzati cioè inversamente (v. fig. 29).
Fondamentalmente non c’è differenza se il dispositivo viene applicato al carico oppure all’interruttore (contatto elettromeccanico o semiconduttore).
La disposizione in parallelo all’interruttore è opportuna quando la sua protezione è di primaria importanza; tale disposizione avviene con elementi a semiconduttori, oppure quando non si vuole aumentare la potenza del carico.
In generale, però, si evidenziano una serie di svantaggi:
- la non separazione galvanica nel caso di contatti meccanici;
- il perdurare dell’alimentazione del carico in caso di guasto del dispositivo;
- la necessità, per contatti posti in serie, di un dispositivo per ogni contatto.
È per questi motivi che si preferisce installare il dispositivo antidisturbo in parallelo alla fonte che genera i disturbi, cioè ai capi del contattore, del relè, dell’elettrovalvola, ecc.
Di seguito verranno analizzati questi sistemi per individuare quali sono i loro vantaggi e svantaggi e per effettuare una corretta scelta, per altro facilitata dall’utilizzo dei cataloghi forniti dai costruttori dei contattori.
Per ridurre le sovratensioni e i disturbi elettrici si possono utilizzare gruppi RC formati da resistenze e condensatori posti fra loro in serie e di valore opportuno.
Il funzionamento di questi dispositivi si basa sul principio che, all’apertura dei contatti, il condensatore, come un accumulatore elettrico, assorbe inizialmente tutta l’energia immagazzinata dall’induttanza, che altrimenti si annullerebbe nell’arco elettrico dei contatti.
Nel momento in cui il condensatore ha raggiunto una tensione sufficientemente alta, la distanza tra i contatti è già talmente grande che la tensione ai capi del condensatore non può più provocare un dannoso arco elettrico.
Questa soluzione presenta i seguenti vantaggi:
- può essere utilizzata sia con bobine funzionanti in AC sia con bobine funzionanti in DC;
- si ottiene una forte limitazione della tensione di picco;
- si ha una notevole stabilità dei parametri R e C nel tempo.
Nel contempo, però, occorre considerare alcuni svantaggi:
- si possono presentare dei fenomeni di risonanza;
- si possono verificare dei tempi di estinzione dell’arco relativamente lunghi per smorzamenti accettabili;
- si può conseguentemente avere un aumento dei tempi di apertura nel caso dei contattori;
- per i contattori alimentati in corrente continua, nelle versioni senza resistenza di risparmio, ci possono essere delle difficoltà a limitare il valore di picco, a causa dell’elevato valore dell’energia immagazzinata (elevato valore dell’induttanza L).
I varistori (VDR) sono resistori la cui resistenza diminuisce quando aumenta il valore della tensione che viene loro applicata.
Sono normalmente ottenuti da carburo di silicio e trovano importanti applicazioni proprio nella protezione dalle sovratensioni che si verificano nelle apparecchiature elettriche.
Il varistore viene collegato, come si è visto, in parallelo al carico induttivo (per esempio, relè, contattore, elettrovalvola, ecc.).
La resistenza del varistore diminuisce bruscamente, facendogli assorbire parte dell’energia accumulata dall’induttanza; in questo modo si riesce a ridurre l’ampiezza dell’impulso.
Infatti, durante l’apertura del contatto, la sovratensione che ne risulta porta rapidamente il varistore alla conduzione e la durata del transitorio d’estinzione è molto breve; nello stesso transitorio, il varistore dissipa quasi interamente l’energia immagazzinata nel circuito.
Per la scelta si devono soddisfare le seguenti condizioni: l’energia massima dissipabile dal varistore deve essere maggiore di quella massima immagazzinata dalla bobina; inoltre, la tensione di esercizio del varistore deve essere almeno uguale alla tensione di alimentazione della bobina.
Tipo di VDR
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Tensione di lavoro [V]
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1101-03
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12
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1101-05
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24
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1101-01
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48
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1101-02
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115
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1101-04
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230
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1101-08
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24
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Questa soluzione presenta alcuni vantaggi:
- tempi di estinzione brevissimi (in pratica non aumentano i tempi di apertura del contattore);
- assenza di fenomeni di risonanza;
- può essere impiegato sia in AC sia in DC.
Nel contempo, però, si evidenziano i seguenti svantaggi:
- ha una limitazione non eccessiva della tensione di picco;
- il dispositivo subisce nel tempo un certo invecchiamento e la sua affidabilità diminuisce a causa delle sollecitazioni termiche che questo subisce quando deve dissipare l’energia immagazzinata nel circuito.
I diodi sono in grado di offrire ottimi risultati in termini di soppressione delle sovratensioni, riuscendo a limitare la tensione di picco alla piccola tensione che si ha ai capi del dispositivo quando è polarizzato direttamente.
Il funzionamento può essere così sintetizzato.
L’induttanza della bobina dei relè, delle elettrovalvole o dei contattori alimentati in DC accumula, durante la fase di aumento della corrente I (chiusura del contatto di alimentazione posto tra i morsetti A e B), dell’energia: quando la corrente I decresce (fase di apertura del contatto), la bobina genera una forza contro elettromotrice (fcem) indotta, restituendo al circuito l’energia accumulata, che provoca archi elettrici sui contatti posti in serie alla bobina. Per porre rimedio a questo fenomeno, quando il circuito funziona in DC si pone in parallelo alla bobina un diodo V1 polarizzato inversamente (non in conduzione) durante la normale fase di alimentazione della bobina; nell’istante di apertura del contatto, la forza contro elettromotrice che si genera viene ad avere polarità opposta alla precedente, in grado, quindi, di polarizzare direttamente V1 che, entrando in conduzione, limita l’ampiezza della sovratensione.
La corrente I’ (corrente di libera circolazione) circola fino al completo esaurimento dell’energia accumulata dall’induttanza che, quindi, viene dissipata tutta su se stessa.
Il diodo va scelto in modo tale che il valore massimo della tensione inversa, di un coefficiente che può variare da 1,5 a 3,0, sia inferiore al valore della tensione nominale del circuito.
Il valore della corrente I’ dovrà essere inferiore al valore dichiarato dal costruttore, altrimenti si avrà un invecchiamento precoce o una rottura del diodo.
L’uso dei diodi presenta il grande vantaggio di ridurre le sovratensioni a valori molto bassi.
Viceversa, comporta i seguenti svantaggi:
- si possono utilizzare solo in corrente continua;
- occorre rispettare le polarità (è necessario polarizzarli inversamente, come mostrato nella precedente figura, collegando il catodo del diodo alla polarità positiva dell’alimentazione);
- si possono avere dei ritardi alla diseccitazione del contattore.
In alcuni casi è possibile utilizzare gruppi antidisturbo con un diodo e una resistenza in serie: la resistenza favorisce lo smaltimento per effetto Joule dell’energia immagazzinata nel circuito e, in questo modo, la corrente di libera circolazione I’ si estingue più velocemente.
I diodi trasil sono ancora più efficaci dei comuni diodi. Sempre collegati in parallelo alle bobine, con essi si hanno minori ritardi alla disinserzione, anche se, al di sotto di certi valori di tensione, non si ha nessuna soppressione.
Questa soluzione presenta alcuni vantaggi:
- dimensione molto compatta;
- basso valore di tensione residua (buona soppressione dell’impulso di disturbo);
- bassi valori dei tempi di ritardo all’inserzione;
- bassi valori dei tempi di disinserzione;
- facile dimensionamento;
- adatto all’impiego sia in AC sia in DC e indipendente dalla polarità;
- elevata capacità di assorbimento di energia.
Nel contempo, però, presenta i seguenti svantaggi:
- tensione di disturbo residua con un’elevata presenza di armoniche;
- limitata frequenza di comando.
I diodi luminosi LED sono componenti elettronici che emettono luce se alimentati con la giusta polarità in corrente continua; esistono però dei tipi bipolari che possono funzionare in corrente alternata e in corrente continua senza tener conto delle polarità.
Utilizzati normalmente per visualizzare quando una bobina è alimentata o quando un sensore è azionato, offrono numerosi vantaggi rispetto alle normali lampade:
- hanno una vita elettrica molto lunga, oltre 200000 ore (la vita di una lampadina per usi professionali è di circa 100000 ore);
- funzionano senza problemi anche in presenza di carichi induttivi, fonti di calore e vibrazioni;
- consumano una corrente media di circa 5 mA (una lampada arriva ad assorbire una corrente di 35 mA);
- non hanno nessun picco di corrente al momento dell’accensione; per una lampadina, invece, questo picco può superare anche 15 volte il valore nominale e può provocare danni al finecorsa o al PLC che comanda l’elettrovalvola;
- possono funzionare in corrente continua, DC e corrente alternata AC (tipo bipolare); con pochi modelli è possibile coprire una gamma di tensione da 10 V a 50 V DC e AC, oppure da 70 V a 250 V AC e DC.
Per alimentare delle bobine funzionanti in DC, quando si ha a disposizione l’alimentazione in corrente alternata (per esempio, da un trasformatore di alimentazione T1) e nel contempo si vogliono ridurre gli effetti dei disturbi elettrici, è possibile utilizzare un connettore con incorporato un circuito raddrizzatore a ponte o a semionda.
Nel caso del raddrizzatore a ponte, all’apertura del contatto di alimentazione (elettromeccanico o elettronico), l’energia immagazzinata dall’induttanza L della bobina (elettrovalvola) viene dissipata dai diodi (V3-V1 e V4-V2) e dalla resistenza R del filo con cui è realizzata la bobina stessa. In questo modo, non vengono generate sovratensioni pericolose.
Il varistore R1 ha lo scopo di proteggere il ponte raddrizzatore e l’elettrovalvola stessa da sovratensioni provenienti dalla linea di alimentazione in corrente alternata.
Qualora venga utilizzato un raddrizzatore a semionda, all’apertura del contatto di alimentazione viene generata una sovratensione che deve essere limitata da un varistore posto in parallelo alla bobina.
Vale la pena ricordare che la tensione media rettificata di uscita UDC da un raddrizzatore a ponte o a semionda dipende dal valore efficace della tensione di ingresso UAC.
In particolare, UDC = 0,9 · UAC. Così, per esempio, se si applica all’ingresso di un connettore con un raddrizzatore a ponte una tensione di 220 V AC, si avrà in uscita una tensione media rettificata di 198 V DC.
I costruttori forniscono, inoltre, tabelle o grafici atti a verificare se le condizioni di funzionamento di questi connettori siano compatibili con le caratteristiche dei diodi usati. Per esempio, la corrente di uscita dal ponte dei diodi può essere di 1,5 A se la temperatura dei diodi non supera i 75 °C, ma, al di sopra di questo valore, la corrente che può essere fornita diminuisce (a 120 °C è di circa 0,95 A).
È buona norma richiedere dai diodi una corrente inferiore del 20÷50% rispetto al valore limite fornito dai costruttori.
Sono disponibili in commercio degli adattatori che vanno posizionati tra i contatti del solenoide ed il connettore standard.
È così possibile inserire un dispositivo antidisturbo e di segnalazione luminosa ottimizzando i tempi di montaggio e migliorando il funzionamento dell’impianto senza sostituire i componenti già utilizzati.
Questi adattatori, disponibili in vari formati, hanno generalmente un grado di protezione IP65 e una temperatura di impiego compresa tra -20 °C e +120 °C.

















