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Ponteggio illuminato = furto scongiurato

Pubblicato: 3 maggio 2007 Categoria: Notizie tecnico normative

In caso di furto consumato da persone introdottesi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi eretti per la ristrutturazione dello stabile condominiale è civilmente responsabile l'impresa se non ha adottato le cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle stesse.

In caso di furto consumato da persone introdottesi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi eretti per la ristrutturazione dello stabile condominiale, è civilmente responsabile l’impresa se non ha adottato le cautele, quali l’illuminazione dei ponteggi, idonee ad impedire l’uso anomalo delle impalcature, creando colposamente un agevole accesso per i ladri e ponendo in essere le condizioni per il verificarsi del danno.

I proprietari citano in giudizio la società appaltatrice dei lavori di restauro del loro stabile condominiale, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito a un furto commesso nel loro appartamento da ignoti, i quali, per accedervi, si erano serviti dei ponteggi non adeguatamente illuminati e di scale di collegamento non rimosse. La domanda viene rigettata tanto dal Tribunale quanto, con sentenza resa il 14 febbraio 2001, dalla Corte d’Appello di Roma. I proprietari ricorrono allora in cassazione con due motivi.

Col primo motivo, denunciano la violazione dell’art. 2043 c.c. e omesso esame di fatti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), i ricorrenti sostengono che il nesso causale tra il furto e l’uso dei ponteggi è stato negato con una motivazione “confusa, affrettata e inconcludente”, la quale ha trascurato che, come inconfutabilmente emerge dal verbale della polizia scientifica e dalle prove testimoniali, il furto è stato reso possibile dall’esistenza dei ponteggi; e, più precisamente, che i ladri si sono introdotti nell’appartamento attraverso una porta finestra sita al terzo piano, certamente non raggiungibile se non attraverso i ponteggi, approfittando della presenza delle scale di collegamento e dell’assenza di illuminazione: condizione dei luoghi questa inosservante tanto del principio generale del “neminem laedere” quanto dello specifico obbligo, sancito a carico dell’appaltatore dall’art. 6 del contratto, di “porre in atto ogni provvedimento ed usare ogni diligenza per evitare danni di qualsiasi genere a persone ed a cose”.

Col secondo motivo, denunciano insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), deducono che la motivazione è del tutto carente laddove, nel tentativo di dimostrare la mancanza di responsabilità dell’impresa, elenca una serie di circostanze irrilevanti, le quali tuttavia contengono l’implicito riconoscimento che il furto è stato perpetrato attraverso l’uso dei ponteggi, non dotati di illuminazione (se la Corte ritiene sufficiente quella del cortile) e provvisti delle scale di collegamento (se la Corte ritiene sufficiente la rimozione della sola scala di collegamento dal piano terra al primo piano).
In ogni caso, proseguono i ricorrenti, di scarso rilievo e tale da non interrompere il nesso di causalità è la circostanza che il ponteggio fosse collocato in un cortile interno recintato e che il cancello d’accesso al cortile fosse spesso aperto, giacché scavalcare un muretto di sostegno o un cancello è cosa ben diversa dallo scalare la facciata di un edificio fino a raggiungere il terzo piano.
Del resto, se la condizione dei luoghi poteva consentire l’accesso nell’area condominiale, non avrebbe certo permesso l’accesso anche agli appartamenti situati ai piani superiori se i ponteggi fossero stati illuminati e soprattutto privati delle scale di collegamento.

La sentenza della Corte d’appello, premesso che “manca la dimostrazione, certa e rigorosa, del nesso di causalità materiale tra il furto perpetrato nell’appartamento degli appellanti e la pretesa utilizzazione dei ponteggi del cantiere”, in quanto “gli autori avrebbero potuto avvalersi di altri passaggi ed altri accessi”, assolve l’impresa edile da ogni rimprovero di colpa sia perché non può contro di essa invocarsi, per farne discendere l’obbligo di adottare tutte le positive provvidenze (come l’ illuminazione dell’intera struttura e la rimozione delle scale) atte ad impedire agli estranei l’accesso agli appartamenti, l’art. 6 del contratto di appalto, il quale vale solo ad esonerare il committente da ogni responsabilità per danni verso terzi; sia perché i ponteggi erano ubicati nell’area interna (cortile), necessariamente illuminata per consentire il transito delle persone, la scala di collegamento tra il piano terra e il primo piano veniva rimossa dall’impresa, e il cancello di accesso al cortile veniva abitualmente lasciato aperto per l’incuria dei condomini e della gestione condominiale.

Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, con riguardo al furto consumato da persone introdottesi in un appartamento attraverso i ponteggi installati per i lavori di restauro dello stabile, deve essere affermata la responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dell’impresa che per tali lavori si avvale di quei ponteggi, qualora, trascurando le più elementari norme di diligenza e perizia e la doverosa adozione delle cautele idonee ad impedire l’uso anomalo delle dette impalcature, e così violando il principio del “neminem laedere”, abbia colposamente creato un agevole accesso ai ladri e posto in essere le condizioni del verificarsi del danno (Cass. 10 giugno 1998 n. 5775; 23 maggio 1991 n. 5840; 6 ottobre 1997 n. 9707; 24 gennaio 1979 n. 539). Alla stregua di questo principio di diritto, appare quanto mai elusiva e lacunosa la riferita motivazione della sentenza impugnata, la quale, pur lasciando intendere che i ladri siano penetrati in casa dei ricorrenti scalando i ponteggi, omette poi di compiere l’unica indagine doverosa, ossia di stabilire se siano state adottate dall’impresa tutte le cautele atte ad impedire che le impalcature costituissero un agevole accesso ai piani superiori e se quindi, per lo stato in cui furono lasciate, esse si pongano in diretto rapporto causale con l’evento.
Ed invero non avrebbe senso logico sostenere, per escludere questo rapporto causale, che i ladri sarebbero potuti entrare nell’appartamento anche servendosi “di altri passaggi ed altri accessi”, una volta che gli stessi, di fatto, si fossero serviti delle impalcature, mentre la sentenza, se avesse ritenuto di dover scartare questa ipotesi, avrebbe dovuto spiegare per quale altra via, se non attraverso i ponteggi, i ladri fossero andati a segno; e nemmeno varrebbe addurre, a discolpa dell’impresa, la libertà di accesso nel cortile, dove sorgevano i ponteggi, attraverso il cancello lasciato “abitualmente” aperto, trattandosi di una circostanza che potrebbe, al più, se dimostrata esistente anche al momento del furto, aver agito, se non come mera occasione, quale semplice causa simultanea concorrente, tale cioè da non interrompere il nesso causale tra l’uso delle impalcature e l’evento (art. 41, 1° e 2° comma c.p.).

Si badi ancora che la sentenza, se, da un lato, ammette che le impalcature non erano fornite di una propria illuminazione (la verosimile illuminazione del cortile non significa illuminazione dei ponteggi), dall’altro indica come usuale la rimozione della sola scala di collegamento tra il cortile e il primo piano, la qual cosa fa presumere che siano state lasciate in sito le scale di collegamento tra il primo, facilmente raggiungibile, e i piani successivi (e il furto, riferiscono i ricorrenti, fu commesso al terzo piano).

Per concludere, emerge la grave insufficienza del criterio logico-giuridico adottato in punto di responsabilità dell’impresa convenuta (responsabilità, è il caso di sottolineare, extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., non potendo i ricorrenti, in quanto terzi, invocare le disposizioni dell’art. 6 del contratto di appalto); onde, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata, col rinvio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, al giudice di pari grado designato nel dispositivo.

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2844