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Reti Wi-Fi e possibili effetti sulla salute

Pubblicato: 16 febbraio 2008 Categoria: Ultime notizie

Ne parliamo con il Prof. Paolo Vecchia, Istituto Superiore di Sanità e Presidente ICNIRP

I casi più recenti sono quelli della Francia, dove in alcune biblioteche pubbliche è stato vietato l’uso dei dispositivi Wi-Fi, della Gran Bretagna in cui analoghi provvedimenti sono stati presi nelle scuole, ma anche in Italia non sono mancati echi di tali eventi, con interrogazioni parlamentari sul tema “l’esposizione ai campi emessi da dispositivi Wi-Fi causa effetti negativi sulla salute?” In previsione, tra l’altro, di un’ulteriore grande espansione di questo tipo di tecnologia, parliamo di reti Wi-Fi e dei loro possibili effetti sulla salute con il Prof. Paolo Vecchia Dirigente di Ricerca presso il Dipartimento di Tecnologie dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché presidente della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP)..


Prof. Vecchia, anzitutto una premessa: cos’è una rete Wi-Fi?

Le reti Wi-Fi sono infrastrutture relativamente economiche e di veloce attivazione e permettono di realizzare sistemi flessibili per la trasmissione di dati usando frequenze radio, estendendo o collegando reti esistenti oppure creandone di nuove. Proprio per la loro versatilità queste tipologie di reti vengono sempre più di sovente utilizzate per lo scambio di dati in strutture aziendali, oppure per creare veri e propri punti di accesso ad internet in locali scolastici, biblioteche, università o aeroporti.


Le reti Wi-Fi lavorano alla frequenza di 2,45 GHZ che è molto più elevata rispetto a quelle caratteristiche della telefonia mobile; dal punto di vista biologico, che differenza c’è tra la frequenza di lavoro delle reti Wi-Fi e le frequenze tipiche della telefonia cellulare (900 MHz, 1,8 GHz)?

In base a tutte le conoscenze teoriche e sperimentali si può rispondere di no. Gli effetti biologici identificati sono comuni a tutto l’intervallo spettrale delle microonde, in cui rientrano le frequenze del GSM, dell’UMTS e del Wi-Fi. Oltretutto, la differenza non è poi così grande: a ben guardare, c’è più divario tra le due frequenze della telefonia cellulare (un fattore 2) che non tra le frequenze del sistema GSM1800 e il Wi-Fi.


Onde elettromagnetiche a frequenza così elevata, come interagiscono con un sistema biologico?, la penetrazione nel tessuto è maggiore o minore rispetto alle onde elettromagnetiche da telefonia cellulare?

L’interazione con i tessuti biologici è ben nota e ben compresa: l’energia elettromagnetica trasportata dalle onde viene assorbita e convertita in calore, causando un innalzamento della temperatura che può interessare l’intero corpo o essere localizzato, secondo le modalità di esposizione. L’assorbimento cresce all’aumentare della frequenza; quindi, le onde a frequenza più alta vengono assorbite in maggior misura dai tessuti esterni (pelle, muscoli, grasso) e una frazione minore arriva agli organi interni.


Janine le Calvez, Presidente della Associazione francese Priartem sostiene che la esposizione a onde elettromagnetiche alla frequenza di 2,45 GHz sia in grado di causare danni a livello di DNA. C’è un motivo? È una frequenza particolare? Quale è la sua opinione riguardo a questa affermazione di M.me le Calvez?

Qualche ricercatore ha effettivamente riportato osservazioni di rotture del DNA per esposizione a campi elettromagnetici; la frequenza non era quella di 2,45 GHz, ma per quanto detto in precedenza ciò non farebbe differenza. Il fatto importante è che questi risultati non sono stati replicati in numerosi studi dello stesso tipo effettuati successivamente in altri laboratori. E la riproducibilità dei risultati è criterio fondamentale per l’accettazione di un dato scientifico. La frequenza di 2,45 GHz non è particolare dal punto di vista degli effetti biologici, ma lo è da quello delle applicazioni: è infatti una delle frequenze assegnate per usi ISM (industriali, scientifici e medici) e come tale è stata sfruttata per diverse applicazioni. E’ la frequenza di funzionamento dei forni a microonde ma, più importante per i nostri discorsi, quella della radarterapia, cioè un trattamento medico. E’ facile quindi immaginare quanto sia stata studiata dal punto di vista dei possibili effetti sulla salute.


Dal momento che questi dispositivi vengono spesso installati anche nelle abitazioni, la gente comincia a preoccuparsi degli eventuali effetti a lungo termine della esposizione ad onde elettromagnetiche a quella frequenza. Ci sono in corso studi volti ad indagare gli effetti a lungo termine? Se si, a quali risultati sono finora convenuti? E, in ogni caso, cosa consiglia a chi il Wi-Fi se lo è installato in casa?

Non abbiamo ovviamente dati epidemiologici specifici per il Wi-Fi, perché la tecnologia è troppo recente. Ci sono anche pochi studi biologici, ma come già detto possiamo fare tesoro della gran mole di studi condotti su altre sorgenti di microonde, soprattutto sulla telefonia cellulare, i cui risultati possono essere estrapolati al Wi-Fi. Proprio per questo occorre considerare attentamente se sia opportuno avviare nuovi studi, molto costosi, o se non vi siano altre priorità di ricerca, anche all’interno del settore dei campi elettromagnetici. Anche le modalità di esposizione alle sorgenti Wi-Fi sono simili a quelle della telefonia cellulare, con antenne fisse distanti dagli utenti e terminali (ad esempio un computer portatile) molto più vicini. Estrapolando dai dati relativi alle stazioni radio base per telefonia mobile possiamo affermare che con ogni verosimiglianza le antenne fisse del Wi-Fi non pongono rischi per la salute essendo i livelli di esposizione estremamente bassi. Per quanto riguarda i terminali, non vi sono indicazioni di effetti nocivi ma ciascuno può decidere di adottare delle misure cautelative, se ciò vale a farlo sentire più tranquillo. Queste misure possono consistere nel non tenere un computer collegato senza fili sulle ginocchia, o nel disattivare il modo di funzionamento wireless (nei computer che lo consentono) quando non si è collegati alla rete.


In Gran Bretagna l’Agenzia Nazionale per la Salute (HPA) ha lanciato uno studio per valutare l’esposizione complessiva delle persone che per motivi di lavoro o di studio si trovano a contatto per un tempo prolungato con reti Wi-Fi. I risultati hanno mostrato che i valori di campo a cui queste persone sono esposte sono molto al disotto dei limiti raccomandati dall’ICNIRP. In Italia su questo argomento c’è stata una interrogazione parlamentare. Come è la situazione in Italia?, sono stati avviati studi per verificare quali sono i livelli di esposizione delle persone che per motivi di lavoro o di studio si trovano esposti alle emissioni dei sistemi Wi-Fi per periodi lunghi? Quali sono i risultati?

A mia conoscenza non ci sono state analoghe indagini in Italia, ma questa non mi sembra una mancanza. I sistemi wireless, come già la telefonia GSM e UMTS funzionano in base a standard internazionali e le apparecchiature sono commercializzate a livello mondiale. E’ uno dei tanti effetti della globalizzazione. Non c’è quindi ragione di pensare che i livelli di esposizione in Italia sino diversi da qualunque altro paese. Ulteriori indagini inutili sarebbero uno spreco di denaro e forse aumenterebbero le preoccupazioni. Abbiamo un precedente con le antenne di telefonia mobile che sono state oggetto di un numero inverosimile di misure nei più diversi paesi, alimentando in molti cittadini l’errata convinzione che la loro condizione potesse essere speciale. I risultati, identici dall’Europa all’America o all’Australia stanno a dimostrare il contrario.


L’Italia ha da poco recepito, integrando il decreto 626/94, la direttiva 2004/40/CE per la protezione dei lavoratori esposti ai campi elettromagnetici. La legge parla anche di sorveglianza sanitaria per gli esposti. Il rischio è quello di arrivare ad avere sorveglianza sanitaria anche per i lavoratori esposti alle reti WiFi?

No. Non solo non si arriverà alla sorveglianza sanitaria, prevista solo per esposizioni eccezionali, ma, con ogni probabilità, neanche alla valutazione di rischio. La direttiva, e il relativo decreto italiano, si valgono in linea di principio per qualunque sorgente di campi elettromagnetici, ma sarebbe assurdo applicarle ad esempio a ogni singola lampada da scrivania o computer. Per questo, l’Unione Europea ha commissionato a un organismo tecnico, il CENELEC, una ricognizione delle sorgenti da esentare in quanto incapaci a priori di dar luogo a esposizioni apprezzabili. Date le loro basse potenze di emissione, è verosimile che i sistemi Wi-Fi rientreranno in questa categoria.


Rimanendo sempre in tema di legge 626/94, quale tipologia di misure potranno essere effettuate negli ambienti di lavoro quali uffici e aule scolastiche per garantire la protezione dei lavoratori?

Ferme restando le esenzioni di cui abbiamo parlato, che probabilmente permetteranno di escludere dalle verifiche non solo singole sorgenti, ma interi ambienti di lavoro, nella maggior parte dei casi saranno sufficienti semplici indagini ambientali con misure a campione per verificare che le esposizioni sono largamente inferiori ai limiti. Valutazioni più dettagliate e più complicate saranno necessarie in particolari ambienti di lavoro o per particolari modalità di esposizione di lavoratori specialisti.


Cosa consiglia a chi per motivi di lavoro è esposto a campi elettromagnetici da stazioni WiFi?

Di informarsi, dalle fonti scientificamente più autorevoli. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato diversi documenti di informazione al pubblico, cosiddetti “Promemoria”, uno dei quali riguarda proprio i sistemi wireless, compreso il Wi-Fi.


Una domanda provocatoria… se dovesse fare una stima sulla base delle emissioni riguardo alla “pericolosità”, quale sarebbe l’ordine di classifica tra stazioni radio base, terminale mobile e rete Wireless?

Mi rifiuto di rispondere in termini di pericolosità, perché non c’è evidenza scientifica di pericolo. Si può invece stabilire una scala oggettiva in termini di esposizione, cioè di energia assorbita nei tessuti del nostro corpo (misurata dal cosiddetto SAR, Specific Absorption Rate). Il telefono cellulare è di gran lunga il primo, seguito a distanza dai sistemi Wi-Fi e, molto più ravvicinate, le stazioni radio base. Il confronto tra gli ultimi due ha comunque poco significato pratico: si tratta in entrambi i casi di livelli bassissimi e, quando anche l’intensità dei campi elettromagnetici dovuti al Wi-Fi fosse il doppio o il triplo di quella dovuta alle stazioni radio base, varrebbe sempre la considerazione che il doppio di un valore infinitesimo è ancora un valore infinitesimo.

 

Fonte: Elettra 2000