
Un’altra cosa importante da sottolineare, è il fatto che gli apparecchi trattati da questa norma CEI 34-22, sono funzionali all’emergenza, quindi comprendono utilizzi sia per illuminazione di sicurezza che per illuminazione di riserva. Ricordiamo inoltre che nel caso il locale fosse classificato come luogo con pericolo di esplosione gli apparecchi di illuminazione di emergenza non vanno scelti in base alla norma CEI 34-22, ma vanno scelti di tipo antideflagrante e in base alla zona di classificazione.
Le due grandi categorie di apparecchi per l’illuminazione di emergenza sono le seguenti:
- Apparecchio di emergenza autonomo: in questo caso la fonte
di alimentazione per la lampada (batteria) è interna all’apparecchio, come lo
sono anche l’unità di controllo, la lampada stessa e gli eventuali dispositivi
di prova e segnalazione, o almeno sono nelle strette vicinanze dell’apparecchio
(entro 1 m).
- Apparecchio di emergenza ad alimentazione centralizzata: in
questo caso la fonte di alimentazione per la lampada non risiede
nell’apparecchio, ma proviene da una sorgente indipendente dall’alimentazione
ordinaria (in genere UPS o gruppo elettrogeno oppure una combinazione delle due
soluzioni).
Sia gli apparecchi autonomi che quelli centralizzati comunque possono essere di diverso tipo come evidenziato dallo schema di figura 21. Cominciamo a vederne le caratteristiche. Un apparecchio di emergenza, sia autonomo che centralizzato, può essere:
- A illuminazione permanente: significa che le lampade sono
sempre alimentate, e quindi il tubo fluorescente è sempre acceso, sia in
condizioni di presenza di rete che in condizioni di emergenza. In un apparecchio
autonomo, le cose funzionano così: se è presente l’alimentazione ordinaria di
rete, la lampada viene alimentata tramite il raddrizzatore (il quale nel
frattempo alimenta anche il carica batteria); nel momento in cui viene a mancare
l’alimentazione di rete, l’unità di controllo commuta la lampada
sull’alimentazione proveniente dalla batteria (figura 22). Una variante di
questa soluzione consiste nell’illuminazione permanente a luminosità ridotta,
nella quale gli apparecchi mantengono una luminosità ridotta in presenza di rete
ed una luminosità più elevata in emergenza.
- A illuminazione non permanente: in un apparecchio di questo
tipo, la sorgente luminosa è spenta in presenza della rete di alimentazione e si
accende solo quando viene a mancare l’alimentazione ordinaria.
- A illuminazione combinata: qui siamo in presenza di un apparecchio che contiene al suo interno due o più lampade, delle quali una dedicata all’emergenza e la/le altre dedicate all’illuminazione normale. All’interno dell’apparecchio vanno tenuti separati i due circuiti, normale ed emergenza, attraverso l’uso di doppio isolamento, isolamento rinforzato o uno schermo metallico collegato a terra. Gli apparecchi combinati possono essere sia di tipo permanente che non permanente.
Un’altra possibilità per quanto riguarda gli apparecchi autonomi è
offerta dall’illuminazione cosiddetta
composta, cioè un apparecchio (permanente o non) che fornisce,
attraverso la sua batteria, l’alimentazione oltre che a se stesso anche ad altri
apparecchi di illuminazione i quali vengono chiamati satellite, in quanto la
loro vita ruota attorno a quella dell’apparecchio composto.
Infine è anche
possibile trasformare un normale apparecchio illuminante in un apparecchio di
emergenza attraverso l’utilizzo di moduli (o kit) di emergenza
costituiti da batteria e circuito di controllo da collegare alla sorgente
luminosa originaria.
Apparecchi di emergenza autonomi
Possibili modi di funzionamento
Abbiamo visto i vari tipi di apparecchi autonomi che si possono utilizzare per l’emergenza, ma ognuno di questi può avere quattro differenti modalità di funzionamento:
- Modo normale: stato in cui l’apparecchio di emergenza
autonomo è pronto a funzionare nel modo di emergenza mentre è presente
l’alimentazione normale. In caso di guasto all’alimentazione normale,
l’apparecchio autonomo commuta automaticamente al modo di emergenza;
- Modo di emergenza: stato in cui, nel momento in cui avviene
un guasto, l’apparecchio autonomo fornisce illuminazione attraverso la sua
sorgente interna di alimentazione;
- Modo di riposo: stato in cui un apparecchio di emergenza
autonomo viene spento intenzionalmente quando manca l’alimentazione normale e
che in caso di ripristino dell’alimentazione ritorna automaticamente al modo
normale. Si usa per risparmiare le batterie, mettendo la lampada in uno stato di
attesa durante i periodi nei quali l’illuminazione ordinaria è spenta;
- Modo di inibizione: l’inibizione è il modo di funzionamento più controverso e non sempre consigliabile, ma che comunque presenta indubbi vantaggi. Consiste nell’inibire l’accensione dell’illuminazione di emergenza, al venire meno dell’alimentazione ordinaria, alimentando le lampade di emergenza attraverso un circuito separato (circuito di inibizione). Apparentemente un controsenso, molto spesso un vantaggio in tutti quei casi in cui si hanno locali ai quali, durante la loro chiusura, viene tolta alimentazione: se non ci fosse l’inibizione, scatterebbe l’illuminazione di emergenza senza nessuno scopo, se non quello di esaurire prematuramente le batterie e/o non trovarsele pronte al momento del vero bisogno. In realtà l’inibizione è una soluzione funzionale che presenta anche alcuni aspetti negativi. Infatti, poiché sul circuito di inibizione c’è un contatto normalmente aperto (uguale a inibizione inserita cioè illuminazione di emergenza non funzionante), l’emergenza si attiva solo quando questo contatto si chiude (uguale a inibizione disinserita cioè illuminazione di emergenza funzionante). Ma, se per un qualsiasi motivo il circuito di inibizione si interrompe, il contatto non potrà mai chiudersi e l’illuminazione di emergenza resterà sempre disattivata (figura 23). Non scordiamo poi il fattore umano che potrebbe portare a dimenticarsi di riattivare l’emergenza (chiudendo il circuito di inibizione) al momento della ripresa dell’attività. Per limitare il primo problema è possibile realizzare il circuito di inibizione come un circuito di sicurezza, in modo da minimizzare il rischio di interruzione. Per il secondo problema è sufficiente mettere un interblocco fra l’alimentazione del locale e il circuito di inibizione, in modo che diventi impossibile ripristinare l’energia elettrica nel locale, senza chiudere il circuito di inibizione (cioè togliere l’inibizione al funzionamento).
Batterie
Le batterie utilizzate negli apparecchi di emergenza autonomi devono avere, in normali condizioni di impiego, una durata minima di almeno 4 anni, e sono normalmente di due tipi, al piombo e al nichel-cadmio. Analizziamo brevemente, in base ad alcune caratteristiche di funzionamento, la differenza di comportamento fra le due.
- Anni di vita: lavorando ad una temperatura all’interno
dell’apparecchio di circa 30 °C, le batterie al piombo hanno una durata di circa
3 anni e mezzo contro i 6 delle batterie al nichel-cadmio.
- Cicli di carica: partendo da una profondità di scarica del
60%, le batterie al piombo consentono 600 cicli di carica contro le quasi 1000
delle batterie al nichel-cadmio;
- Stoccaggio: lo stoccaggio delle batterie al piombo per un
tempo tale da scaricarle completamente, comporta difficoltà di ricarica e
perdita irreversibile di capacità, mentre il tipo al nichel-cadmio invece può
essere tranquillamente immagazzinato per lungo tempo, anche completamente
scarico;
- Emissioni di gas: le batterie al nichel-cadmio non sono
soggette ad emissioni di gas o liquidi corrosivi, quelle al piombo si, anche in
condizioni normali d\'uso;
- Effetto memoria: è l’incapacità di una batteria di
raggiungere il 100% della tensione nominale se la ricarica parte non da zero, ma
da una tensione residua. Esiste nelle batterie al nichel-cadmio e non in quelle
al piombo.
- Costo: sono più economiche le batterie al piombo.
Apparecchi di emergenza centralizzati
Come già accennato, gli apparecchi di emergenza centralizzati trovano la loro fonte di energia non al loro interno, come succede per gli autonomi, ma in un gruppo statico di continuità o in un gruppo elettrogeno. Non è nelle intenzioni di questa guida approfondire il complesso argomento dell’alimentazione dei circuiti di sicurezza. Ci limitiamo quindi a ricordare i riferimenti normativi ai quali occorre fare riferimento per la loro installazione: norma CEI 64-8/2 capitolo 21, norma CEI 64-8/3 capitoli 31 e 35, norma CEI 64-8/5 capitolo 56, guida CEI 64-51 capitolo 3, guida CEI 64-55 capitolo 4.
Classificazione e marcatura degli apparecchi di
emergenza
Prima di entrare nel dettaglio della marcatura specifica per l’emergenza, occorre ricordare che questi apparecchi restano comunque apparecchi di illuminazione e, come già detto, devono essere classificati e marcati prima di tutto secondo le indicazioni rispettivamente delle sezioni 2 e 3 della norma EN 60-598-1 (CEI 34-21) che riguarda le prescrizioni generali degli apparecchi di illuminazione).
L’appendice B della norma CEI EN 60598-2-22 (CEI 34-22) classifica gli apparecchi di emergenza in base ad una marcatura consistente in un rettangolo suddiviso in tre (apparecchio centralizzato) o quattro (apparecchio autonomo) caselle contenenti dei codici (vedi figura 24). Questi codici riguardano:
- 1° casella: una posizione che riguarda il tipo di
apparecchio;
- 2° casella: una posizione che riguarda il modo di
funzionamento;
- 3° casella: quattro posizioni che riguardano il o i dispositivi
installati sull’apparecchio. Queste posizioni vanno completate al
momento dell’installazione;
- 4° casella: tre posizioni che riguardano la durata minima del modo di emergenza (esistono ovviamente solo per gli apparecchi autonomi).
Quindi, ad esempio, un apparecchio che abbia una marcatura di questo tipo
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6 |
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Significa che si tratta di un apparecchio autonomo, non permanente, che comprende un dispositivo di prova ed è adatto per illuminazione di aree ad alto rischio; la sua autonomia in modo di emergenza è di 60 minuti.
Un’ultima cosa da puntualizzare è che tutti gli apparecchi di emergenza devono essere classificati come idonei al montaggio diretto su superfici normalmente infiammabili (marchio di figura 25).
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