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Urto di cavi elettrici e responsabilità
La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando che, dall'istruttoria svolta, è emerso che il R. ha di fatto svolto le funzioni di preposto al cantiere, per cui incombevano su di lui gli obblighi derivanti dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11 e D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 22, mentre aveva dimostrato trascuratezza in riferimento alle specifiche esigenze antinfortunistiche direttamente rilevanti nell'evento per cui è causa. Quanto al M. la Corte d'Appello ha considerato che egli, quale direttore tecnico e responsabile della sicurezza, rivestiva il ruolo di dirigente della azienda specificamente preposto alla sicurezza dei lavoratori ed era, pertanto, destinatario dei relativi obblighi antinfortunistici; in particolare, con riferimento al POS, la Corte d'Appello ne ha rilevato l'assoluta inadeguatezza rispetto alle esigenze di sicurezza che era chiamato a soddisfare; inoltre è stato escluso che il comportamento della vittima sia stata causa dell'incidente come preteso dagli imputati. Avverso tale sentenza propongono ricorso il R. e il M. chiedendone l'annullamento. Il R. deduce la nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 589 c.p. ed al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11. In particolare il ricorrente deduce di non essere stato assistente di cantiere, figura ricoperta da altro dipendente, e di non avere neanche conosciuto il POS e di non avere mai ricevuto deleghe o assunto responsabilità in merito alla sicurezza del lavoro, e di avere raccomandato agli operai di prestare attenzione alla linea elettrica sulla base della sua esperienza; inoltre il R. ribadisce l'esclusiva responsabilità della vittima nella determinazione dell'evento, avendo questi posizionato la gru in posto certamente pericoloso e non idoneo alla completa sicurezza proprio sotto la linea elettrica. Il M. lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 589 c.p. ed al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 2 e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, e difetto di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e). In particolare il ricorrente deduce che oltre al POS esisteva un Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) che integrava il primo costituendo, nell'insieme, un idoneo strumento di sicurezza essendo specificato il rischio del lavoro ed erano state fornite tutte le indicazioni necessarie per evitarli, con particolare riferimento al contatto accidentale con linee elettriche aeree. Con secondo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 41, comma secondo c.p. in relazione all'art. 589 c.p., e difetto di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e). In particolare si deduce che il nesso di causalità sarebbe stato interrotto dal comportamento anomalo del lavoratore avventato, disattento e imprudente, soprattutto nel posizionamento della gru sotto la linea elettrica aerea.
Diritto I ricorsi sono infondati e vanno conseguentemente rigettati. Quanto alla doglianza del R. va osservato che la Corte territoriale ha congruamente motivato riguardo alla sua posizione di fatto quale preposto di cantiere, facendo chiaro ed esauriente richiamo alla oggettività dei fatti, al giornale dei lavori, alle deposizioni dei testi, ed alle stesse dichiarazioni dell'imputato che ha ammesso di avere avuto ampia delega in ordine ai lavori di cantiere direttamente dal datore di lavoro. Al riguardo va sottolineato che, ai fini della prova del ruolo di preposto, o comunque di supremazia rispetto al lavoratore, non è richiesto un elemento probatorio documentale o formale, potendo il giudice del merito fondare il proprio convincimento, così come è avvenuto nella concreta fattispecie, anche su un compendio probatorio costituito da testimonianze e/o accertamenti fattuali, così come precisato nella giurisprudenza di questa Corte. Ed è stato altresì affermato, dalla Suprema Corte, che la qualifica di preposto deve essere riconosciuta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa, a prescindere da formali qualificazioni giuridiche: "in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa; pertanto, chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori" (per tutte Cass. 19 giugno 2007 n. 35666 Sez. 3A, 7 ottobre 1999, n. 11406); "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato automaticamente tenuto, ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo (Sez. 4A, 19 febbraio 1998, n. 3948 e 19 giugno 2007 n. 35666). Pertanto la lamentela del ricorrente in ordine alla mancanza di una delega formale riguardo alla sicurezza non è fondata. Parimente infondato è il richiamo relativo al comportamento del lavoratore che avrebbe interrotto il nesso causale con l'evento. Tale motivo di censura, comune al ricorso del M., è infondato in quanto, come affermato dalla Corte di Cassazione (per tutte Cass. 3 giugno 1999 n. 12115) il comportamento pur sempre avventato del lavoratore posto in essere mentre è dedito al lavoro affidatogli e pertanto non esorbitante, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro, obblighi che mirano appunto ad evitare l'abnorme, l'imprevedibile e pertanto che il lavoratore per eseguire il proprio lavoro si avvalga di accorgimenti diversi da quelli imposti dalla legge o suggeriti dalla migliore ricerca. Nel caso in esame non sussistono
dubbi che l'incidente mortale è occorso alla vittima mentre era impegnato nelle mansioni lavorative affidategli. Quanto al ricorso del M., detto del secondo motivo relativo al nesso di causalità, con riferimento al primo motivo va considerato che la sentenza impugnata ha espressamente e logicamente motivato in relazione all'inidoneità o comunque insufficienza del Piano Operativo della Sicurezza elencando tutti gli elementi che il piano stresso deve contenere per svolgere la sua funzione di individuazione e valutazione di tutti gli elementi che possono influire sulla salute e sicurezza dei lavoratori, anche con riferimento al Piano di Sicurezza e Coordinamento di cui vengono chiarite le differenze e le funzioni. In particolare la Corte territoriale ha sottolineato la carenza del POS che non indicava neppure la linea elettrica aerea che interferiva con la zona di scavo, e la materiale assenza nel cantiere di qualsiasi indicazione tanto che lo stesso preposto di fatto R. non conosceva il POS e si era limitato a generiche raccomandazioni ai lavoratori di prestare attenzione. La completa motivazione sul punto rende del tutto infondata la lamentela del ricorrente riguardo alla asserita idoneità del POS di competenza del M.. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.